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Cosa vuol dire salvezza al di fuori della Chiesa

Testata: La Repubblica
Data: 28 aprile 2009
Pagina: 1
Autore: Vito Mancuso
Titolo: «Cosa vuol dire salvezza al di fuori della Chiesa»

Proprio quando arriva in libreria una raccolta di saggi di Benedetto XVI dal titolo L'Elogio della coscienza, è interessante chiedersi quale sia oggi la situazione della coscienza cattolica. Lo spunto mi è dato dall'accusa mossami da Enzo Bianchi di essere gnostico, un'accusa teologicamente infondata che scambia per eresia gnostica l'esercizio della libertà di coscienza a livello teologico. Dietro l'accusa di gnosi verso la mia teologia basata sul primato della coscienza, c'è lo statuto attuale della verità dottrinale cattolica basata sulla tradizione e l'autorità. Ovvero: è così perché è stato stabilito che è così, e chi l'ha stabilito è più importante di te e tu devi obbedire.

Insegnava Ignazio di Loyola al termine degli Esercizi spirituali: «Dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica». Ancora oggi la forma della verità cattolica continua a essere basata sul passato (la tradizione) e sulla forza (l'autorità) e per questo motivo si accusa di gnosi chi al primo posto nel suo rapporto con la verità non pone l'autorità ma la coscienza personale, e in fedeltà alla coscienza dichiara bianco ciò che vede bianco.

Un anno fa fu Bruno Forte sull'Osservatore Romano a definire il mio pensiero "una gnosi di ritorno". Ora Enzo Bianchi su Famiglia cristiana scrive : "Quanto a Mancuso, teologo che ama definirsi eterodosso, occorre riconoscere che le domande che pone nei suoi scritti sono urgenti e necessitano di una risposta da parte della teologia cattolica e della Chiesa, ma, a mio giudizio, le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi, in cui la storia è di per sé storia di salvezza e in cui non c'è da parte di Dio, né rivelazione, né grazia". Bianchi continua dicendo che nel mio ultimo libro (Disputa su Dio e dintorni, insieme a Corrado Augias) vi sono affermazioni che "correggono la gnosi presente nel precedente" (L'anima e il suo destino) che però "restano deboli". E conclude: "Il regno dei cieli non è l'equivalente del regno delle idee di Platone o del regno dei fini di Kant, come afferma il nostro teologo".

Quanto al fatto che amerei definirmi eterodosso, dico semplicemente che ciò che amo è la trasparenza, e siccome so che certi miei pensieri non sono allineati alla dottrina ufficiale, lo dichiaro io per primo, per onestà ai lettori. Tutto qui. Vorrei però precisare che se talora metto in discussione la dottrina ufficiale è per amore della coerenza e della logica, perché condivido la prospettiva secondo cui nel cristianesimo il posto d'onore spetta all'affermazione "in principio era il logos", e laddove non vedo rispettato il primato del logos, esercito la mia coscienza perché lo sia. Quanto all'accusa di gnosi, ripeto a Bianchi ciò che replicai a Forte, cioè che non ha fondamento. Lo gnosticismo infatti si basa su tre principi fondamentali:

  1. è la conoscenza che salva;
  2. questa conoscenza è rivelata a pochi da un inviato divino rivelatore e redentore;
  3. il contenuto della conoscenza è la distanza del mondo da Dio all'insegna della più acuta contrapposizione materia-spirito.

Al contrario io sostengo che:

  1. è la giustizia che salva;
  2. la giustizia può essere attuata da ogni uomo, dentro o fuori la Chiesa, essendo legata alla logica della creazione;
  3. la creazione è il cardine teologico decisivo e tra materia e spirito non c'è alcuna contrapposizione.

Mentre la gnosi è una dottrina segreta riservata a pochi dalla cui conoscenza dipende la salvezza, io all'opposto lego la salvezza alla pratica della giustizia, come sostiene Gesù in Matteo 25 e in numerosi altri passi. Mentre la gnosi consiste in una totale svalutazione della natura, attribuita a un Dio minore e malvagio, io all'opposto faccio della creazione il trattato teologico decisivo e dell'adesione alla sua logica il principio salvifico. Bianchi però dice che sono gnostico. Perché un tale abbaglio? Perché scambia per gnosi l'esercizio della libertà di coscienza a livello teologico. Ma nel richiamo di Bianchi alla "storia della salvezza" è in gioco soprattutto lo statuto della salvezza.

Per secoli si è creduto che solo il cattolicesimo offrisse la salvezza agli uomini e che tutti i non cattolici ne sarebbero stati esclusi all'insegna dell'assioma "extra ecclesiam nulla salus" (fuori della Chiesa non c'è salvezza). So bene che Bianchi non condivide questa angusta prospettiva, lui che iniziò il suo impegno sul fronte dell'ecumenismo quando io ancora giocavo all'oratorio, e del resto quasi nessuno nella Chiesa di oggi la condivide. Mi permetto però di ricordargli questo passo di Simone Weil: "La credenza che un uomo possa essere salvato fuori della Chiesa visibile esige che tutti gli elementi della fede siano ripensati daccapo, pena l'incoerenza completa. Perché l'intero edificio è costruito attorno all'affermazione contraria, che oggi quasi nessuno oserebbe sostenere. Eppure non si vuole ancora riconoscere la necessità di una simile revisione. Ci si sottrae ad essa con miserabili artifizi. Si mascherano le sconnessioni con saldature fittizie, con salti logici clamorosi".

Bianchi non me ne voglia, ma non posso fare a meno di inserire tra i salti logici clamorosi anche l'attribuzione di gnosticismo a un pensiero come il mio che ne è il più convinto avversario. Il punto è esattamente il nesso salvezza-storia. Per la visione cristiana tradizionale (derivante da san Paolo e difesa da Bianchi) la salvezza è legata all'evento storico di duemila anni, è storia della salvezza, ed è quindi inevitabile che tutti coloro che a quel singolo evento storico non partecipano (cioè la gran parte dell'umanità visto che la specie Homo sapiens ha origine 160.000 anni fa) ne vengano esclusi. Da qui extra ecclesiam nulla salus. Non erano cattivi i padri della Chiesa, gli scolastici, i papi e i monaci che per secoli sostenevano questo assioma. Erano semplicemente coerenti con l'impostazione che lega la salvezza a una storia particolare. Se infatti la salvezza viene da una storia particolare, o si partecipa a quella storia (partecipazione garantita dalla Chiesa e dai suoi sacramenti) o non si è salvi. La salvezza pensata in dipendenza da un evento storico produce necessariamente la teologia dell'extra ecclesiam nulla salus. Oggi si rifiuta questa teologia angusta e si ritiene che la salvezza non sia riservata ai soli cattolici. Perfetto. Ma allora come continuare a sostenere la dipendenza della salvezza da una storia particolare? Lo si può fare solo a prezzo di "miserabili artifizi", "saldature fittizie", "salti logici clamorosi".

In realtà, se si vuole parlare con fondamento della salvezza (cioè della partecipazione all'eternità divina), occorre superare la superstizione della cronologia e comprendere l'insegnamento di Gesù: "Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità" ( Giovanni 4,24). Vale a dire: ogni essere umano che nella sua coscienza e nel suo cuore vive nello spirito della verità (la cui esperienza più alta si chiama pratica del bene e della giustizia) entra nella dimensione peculiare del divino e quindi è salvo, si tratti di un uomo dell'età della pietra, di un antico egizio, di un ebreo o di un indù di oggi. In questa prospettiva, contrariamente alla gnosi e al cristianesimo paolino che sostengono la necessità per la salvezza di una rivelazione particolare, io sostengo (come Bianchi rileva esattamente, ma sbagliando nel dire che si tratta di gnosi perché ne è l'esatto contrario) che ogni momento della storia è capace di salvezza. E quindi, a differenza di chi lega la salvezza "Ogni uomo che vive nello spirito della verità entra nel divino ed è salvo" a una storia particolare, io posso rifiutare in perfetta coerenza la teologia dell'extra ecclesiam nulla salus in quanto nemica degli uomini e incapace di comprendere la paternità universale di Dio.

Ringrazio infine Enzo Bianchi (illustre collega all'Università San Raffaele nonché amico da lunga data) per aver riconosciuto che sollevo domande "urgenti che necessitano di una risposta da parte della teologia cattolica e della Chiesa", ma sarebbe interessante capire come fa lui a tenere insieme una salvezza universale con una storia particolare. Perché una cosa deve essere chiara: dire che "il regno dei cieli non è l'equivalente del regno delle idee di Platone o del regno dei fini di Kant" significa riproporre in versione aggiornata la medesima pretesa ecclesiastica dell'extra ecclesiam nulla salus.