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Il Papa, il potere e il veleno dei cardinali

Testata: La Repubblica
Data
: 04 febbraio 2010
Pagina: 1
Autore: Vito Mancuso
Titolo: «Il Papa, il potere e il veleno dei cardinali»

Sarà vero che il documento calunnioso sul direttore di Avvenire è stato consegnato al direttore del Giornale niente di meno che da Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, dietro esplicito mandato del Segretario di Stato vaticano cardinale Bertone, numero due della gerarchia cattolica a livello mondiale?

E che l'insigne porporato si è servito di Vian e di Feltri per colpire il direttore di Avvenire in quanto espressione di una Conferenza Episcopale Italiana a suo avviso troppo indipendente e troppo politicamente equidistante? E che quindi il vero bersaglio del cardinal Bertone era il collega e confratello cardinal Bagnasco?
Sarà vera la notizia di questo complotto intraecclesiale degno di papa Borgia e di sua figlia Lucrezia?

Come cattolico spero di no, ma come conoscitore di un po' di storia e di cronaca della Chiesa temo di sì. Del resto fu l'allora cardinal Ratzinger, poco prima di essere eletto papa, a parlare di "sporcizia" all'interno della Chiesa (25 marzo 2005). Qualcuno in questi cinque anni l'ha visto fare pulizia? Direi di no, e forse non a caso proprio ieri egli ha parlato di «tentazione della carriera, del potere, da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di governo nella Chiesa».

Quindi è lecito pensare che la sporcizia denunciata dal Papa abbia potuto produrre l'abbondante dose di spazzatura morale di cui ora forse veniamo a conoscenza. Naturalmente come siano andate davvero le cose è dovere morale dei diretti interessati chiarirlo. Con una precisa consapevolezza: che gli storici un giorno indagheranno e ricostruiranno la verità, la quale alla fine emerge sempre, chiara e splendente, perché non c'è nulla di più forte della verità.

Le bugie hanno le gambe corte, dice il proverbio, e questo per fortuna vale anche per il foro ecclesiastico. Siamo in un mondo che è preda di una devastante crisi morale. Le anime dei giovani sono aggredite dalla nebbia del nichilismo. Parole come bene, verità, giustizia, amore, fedeltà, appaiono a un numero crescente di persone solo ingenue illusioni. La missione morale e spirituale della Chiesa è più urgente che mai. E invece che cosa succede? Succede che la gerarchia della Chiesa pensa solo a se stessa come una qualunque altra lobby di potere, e come una qualunque altra lobby è dilaniata da lotte fratricide all'interno.

Certo, nulla di nuovo alla luce dei duemila anni di storia e di certo nessun cattolico sta svenendo disilluso. Rimane però il problema principale, e cioè che oggi, molto più di ieri, il criterio decisivo per fare carriera all'interno della Chiesa non è la spiritualità e la nobiltà d'animo ma il servilismo, e che la dote principale richiesta al futuro dirigente ecclesiastico non è lo spirito di profezia e l'ardore della carità, ma l'obbedienza all'autorità sempre e comunque. Eccoci dunque al tipo umano che emerge dalle cronache di questi giorni: il cosiddetto "uomo di Chiesa". È la presenza sempre più massiccia di persone così ai vertici della Chiesa che mi rende propenso a credere che le accuse alla coppia Bertone-Vian siano fondate.

Impossibile però non vedere che nella storia ecclesiastica misfatti di questo genere contro gli elementari principi della morale ne sono avvenuti in quantità. Anzi, che cosa sarà mai un foglietto calunnioso passato al direttore di un giornale laico per far fuori il direttore del giornale cattolico, rispetto alle torture e ai morti dell'Inquisizione?
È noto che il potere temporale dei papi si è basato per secoli su un documento falso quale la Donazione di Costantino, attribuito all'imperatore romano e invece redatto qualche secolo dopo dalla cancelleria papale. Che cosa concludere allora? Che è tutto un imbroglio?

No, il messaggio dell'amore universale per il quale Gesù ha dato la vita non è un imbroglio. L'imbroglio e gli imbroglioni sono coloro che lo sfruttano per la loro sete di potere, per la quale hanno costruito una teologia secondo cui credere in Gesù significa obbedire sempre e comunque alla Chiesa. Secondo l'impostazione cattolico-romana venutasi a creare soprattutto a partire dal concilio di Trento la mediazione della struttura ecclesiastica è il criterio decisivo del credere. Lo esemplificano al meglio queste parole di Ignazio di Loyola rivolte a chi «vuole essere un buon figlio della Chiesa»: «Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica». Ne viene che il baricentro spirituale dell'uomo di Chiesa non è nella propria coscienza, ma fuori di sé, nella gerarchia. I "principi non negoziabili" non sono dentro di lui ma nel volere dei superiori, e se gli si ordina di scrivere la falsa donazione di Costantino egli lo fa, e se gli si ordina di torturare gli eretici egli lo fa, e se gli si ordina di appiccare il fuoco alle fascine per il rogo egli lo fa, e se gli si ordina di passare un documento falso egli lo fa. Ecco l'uomo di Chiesa voluto e utilizzato da una certa gerarchia.

È questa la sporcizia a cui si riferiva il cardinal Ratzinger nel venerdì santo del 2005? È questo il carrierismo denunciato ieri da Benedetto XVI? Il messaggio di Gesù però è troppo importante per farselo rovinare da qualche personaggio assetato di potere della nomenklatura vaticana.

Una fede matura sa distaccarsi dall'obbedienza incondizionata alla gerarchia e se vede bianco dirà sempre che è bianco, anche se è stato stabilito che è nero. Né si presterà mai a intrighi di sorta "per il bene della Chiesa". La vera Chiesa infatti è molto più grande del Vaticano e dei suoi dirigenti, è l'Ecclesia ab Abel, cioè esistente a partire da Abele in quanto comunità dei giusti. In questa Chiesa quello che conta è la purezza del cuore, mentre non serve a nulla portare sulla testa curiosi copricapo tondeggianti, viola, rossi o bianchi che siano.