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Il Silenzio Creativo

Estratti della relazione di Gillo Dorfles al congresso sul "Silenzio" del Marzo 1987 a Palermo

Discorrere - o scrivere - attorno al silenzio, potrebbe essere considerato, innanzitutto come un paradosso; ma se ne superiamo l'aspetto puramente retorico possiamo senz'altro accettare il fatto che di silenzio è lecito parlare. D'altronde molto spesso la parola "silenzio" è intesa in un'accezione metaforica come l'equivalente di "pace", "calma", di estasi mistica, come regola di vita claustrale, ecc.
Non intendo valermi del silenzio in queste accezioni; tuttavia tenderei a identificare quasi l'unità silenzio con l'entità-intervallo.
Silenzio, dunque, come cessazione del rumore, del suono, d'ogni attività esplicita; ma anche silenzio come presenza, di qualcosa che, durante il silenzio, si svolge qualcosa che è, per l'appunto, l'avverarsi del silenzio stesso: dunque come realizzarsi di qualcosa di positivo.
E proprio in questo senso che vorrei considerare l'esistenza e il verificarsi del silenzio come pausa, come intervallo tra due suoni, due parole: una pausa dalla quale sia possibile attingere delle ancora inespresse forze germinali. Silenzio, insomma, come momento creativo.
Quando, ad esempio, Leopardi scrive che al di là della celeberrima siepe, contemplava "sovrumani silenzi e profondissima quiete" alludeva probabilmente a quella condizione che intendevo proporre: silenzio non come negatività del dire, del fare, del contemplare, ma anzi come matrice di ogni potenziale creazione.
(E ho appena bisogno di ricordare come molti grandi mistici, molti cerimoniali iniziatici, meditazioni occulte, ecc. Siano volti a raggiungere una condizione di silenzio interiore, una sospensione dell'udito fisico, per cui - anche in mezzo al "rumore"- l'individuo non sente più nulla ed è capace di cogliere le voix du silence.

Ecco: "voci del silenzio" contrapposte alle voci percepibili nel nostro ambiente carico com'è di fragori, di clamori, di continue sollecitazioni auditive (oltre che visive) per cui si spiega come alcuni scrittori cerchino addirittura il brusio continuo di un treno o d'un affollato caffè in quanto preferibile all'ormai ipotetico silenzio del proprio ambiente domestico.
Se intendiamo il silenzio in questa accezione positiva sarà anche più facile estenderne il significato al concetto di pausa e di intervallo.

Mi sono già interessato altrove al problema dell'intervallo inteso come necessario momento di sosta tra (between) due elementi contigui nel tempo come nello spazio.
Possiamo, in altre parole, assimilare o addirittura identificare il "between" (il momento intervallare o diastematico) tra due elementi visivi (forme, colori, elementi architettonici) con quello tra due momenti auditivi. L'intervallo tra due note (o due parole) è analogo a quello tra due elementi spaziali.
In entrambi i casi l'abolizione dell'intervallo, o della pausa - dunque del "silenzio" - ha conseguenze gravissime d'ordine psicologico e soprattutto estetico.
Eliminando la pausa, la sosta, spesso ci è dato notare che un'opera d'arte visiva o un brano musicale perdono la loro identità, diventano assurdi. (E, per converso, mi piace portare anche un esempio paradossale del tutto opposto: come nel caso di alcuni collages di Jiri Kolar dove l'interpolazione di intervalli aggiuntivi può dare luogo a un nuovo significato dell'opera stessa; o come nel caso di certe opere di Paolo Castaldi il quale, mutando il rapporto intervallare e ritmico di alcune composizioni musicali celebri, ottiene una totale compromissione del primitivo significato e il verificarsi di una nuova forma musicale a sé stante.
Ma, al di là di questi esempi a dire il vero abnormi, quello che ritengo sia il vero banco di prova circa il pericolo d'una abolizione del silenzio intervallare è quanto si verifica comunemente ai nostri giorni nel caso dell'uso eccessivo e disintenzionato delle trasmissioni musicali ad ogni livello.

Quello che alcuni ricercatori francesi (Augoyard) hanno definito "Nuisance de l'environnement sonore" riguarda non solo i pericoli dell'eccesso di rumore del traffico e in genere dell'ambiente urbano, ma anche i pericoli dovuti all'eccesso di trasmissione e di audizione musicale derivante dalla presenza dei mass-media che riversano su di noi - senza sosta e senza alcuna discriminazione estetica - una marea sonora basata quasi esclusivamente su musiche "di consumo".
L'ascolto musicale è divenuto, pertanto, quasi sempre un semplice riempitivo del nostro tempo esistenziale, della nostra atmosfera domestica, di tutto il nostro habitat. E questo non riguarda solamente le musiche di jazz, rock o altre composizioni "popolari" ma anche la musica "classica" il cui abuso è del tutto indiscriminato. La presenza costante di questo brusio sonoro - senza pause, dove il silenzio viene costantemente abolito e sopraffatto - è indubbiamente una delle grandi calamità della nostra epoca ed è forse causa di, oggi ancora non ben definibili, danni estetici ed etici.
L'uso, ad esempio, così stoltamente diffuso, della cosiddetta "musica di fondo" è un tipico esempio di un ascolto "disattento" e disintenzionato che non può che danneggiare le nostre facoltà discriminative e percettive.

Occorre mettere dunque in evidenza, ancora una volta, il pericolo della condizione in cui l'individuo viene spesso a trovarsi - tanto per quanto riguarda l'attività e la fruizione artistica quanto per l'esistenza quotidiana - in seguito all'indifferenza verso il fattore ritmico - dunque l'alternarsi di silenzio e attività - in ogni situazione della propria vita di relazione. Questa perdita della "coscienza diastematica" (intervallare) è gravissima anche perché è di solito del tutto inconsapevole. Viviamo, infatti, nella convinzione che il silenzio esista, che l'intervallo scandisca i nostri ritmi vitali mentre la scomparsa di questo intervallo, l'assenza del silenzio creativo, ci obbliga a vivere in un tempo privo di soste che si trasforma quasi sempre in tempo alienato. Un tempo alienato che ci vediamo costretti a riempire continuamente di avvenimenti, di eventi, di sollecitazioni, di immagini, così che non rimane più spazio (e tempo) per quelle operazioni ideative che solo una "discontinuità temporale" può rendere possibili.

Che il silenzio sia creativo, del resto, possiamo provarlo anche con un esempio, in apparenza grossolano, ma quanto mai efficace: il ricorso ad una sequenza più o meno lunga e totalmente silenziosa di un'opera cinematografica. Chiunque avrà notato come la brusca interruzione di ogni accompagnamento musicale e sonoro dia subito luogo ad un immediato senso di aspettativa e di minacciosa attesa che soltanto il silenzio è in grado di suscitare.
Perché, insomma, ho cercato di provare che il silenzio è positivo e creativo e non deve essere inteso soltanto come assenza, annullamento, esclusione di qualcosa? Perché soltanto facendo tacere le sollecitazioni della nostra sensorialità possiamo risvegliare in noi delle immagini - nel senso più lato delle immagini visive, auditive, tattili, eidetiche - che siano effettivamente autonome e autoctone.
Il silenzio, peraltro, non dovrà essere confuso con la "deprivazione sensoriale". E' ben noto come l'individuo sottoposto a una condizione di totale "deprivazione" - di assoluto silenzio, di assenza di stimoli visivi, tattili, sonori - possa diventare preda di perniciose allucinazioni, possa cadere in una condizione di totale estraneità e alienazione.
Non è questo, dunque, il silenzio che auspico. Dicendo silenzio e pausa - e anche, intervallo tra due suoni, due colori - intendo sempre riferirmi a quel silenzio attivo, produttivo e perfino acusticamente positivo (di cui già Cage ragionava) e al quale ho fatto allusione sin dall'inizio di questa nota.
La nostra civiltà meccanizzata, invece, ci ha avvezzato - anzi ci ha imposto - la presenza di una costante condizione di non silenzio, di non pausa, a tutti i livelli e in ogni circostanza della nostra esistenza. È contro tale condizione che dobbiamo incessantemente batterci.

 

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